Non me ne voglia, direi di no.
È una specie di sandolo con la prua molto bassa, in modo tale da poterci mettere un vero e proprio cannone riempito di chiodi e polvere per sparare alle anatre. Lo s’ciopon, però, serviva anche solo per andare a caccia col fucile: siccome lo scafo pescava pochissimo poteva passare sopra le secche e le barene, molto comodo siccome motori fuori bordo non ne esistevano ancora, o meglio, esistevano ma non ce li aveva nessuno.
Qualche altra testimonianza di sua zia?
Beh a esempio, ci raccontava che non scriveva mai di giorno bensì di notte. Per questo motivo gli mettevano fuori dalla porta delle bottiglie di vino rosso e se le trovavano vuote la mattina significava che aveva scritto tutta la notte, se erano piene voleva dire che aveva dormito. Questa non so se sia verità o leggenda, però è sicuramente una storia che intriga!
Hemingway amava il Valpolicella e non il Whiskey, come molti erroneamente affermano?
Si, il Valpolicella ma non l’Amarone! Perché si l’Amarone c’era, e per di più ce n’era pochissimo, ma non era un vino da tavola, è sempre stato un vino per il pomeriggio, o per il dopo-pasto. Adesso si beve Amarone anche a pasto, anche se secondo me è troppo forte, mentre allora c’era appunto il Valpolicella Valpantena, prodotto da Bertani. Il Valpolicella lo utilizzavamo anche noi all’Harry’s Bar, insomma, era un po’ il vino della casa.
Restando in tema, quali erano le altre sue bevande preferite?
Questo non glielo so dire, però le posso dire che amava mangiare, anche se non in grandi quantità. Adorava il risotto: l’ha mai letto il racconto “Il leone buono”? Ecco, lì lo nomina più di una volta, parla di un leone con le ali in groppa che però viene denigrato dai suoi simili in Africa perché mangiava risotto e beveva americano. Cacciato, torna a Venezia dove ritrova suo padre in piazza San Marco che gli raccomanda, se fosse andato all’Harry’s Bar, di dire a Cipriani che uno di quei giorni sarebbe passato a saldare il conto.
Si ricorda anche quanto era salato? Scherzi a parte, quali sono, invece, racconti, ricordi e le testimonianze di suo padre di Ernest Hemingway all’Harry’s Bar di Venezia?
Guardi, le posso raccontare un aneddoto legato insieme a un ricordo e a un’icona. C’è una fotografia, che possediamo ancora, di loro due: Hemingway con addosso un grande sombrero messicano, seduti a un tavolo di Torcello con molti bicchieri vuoti davanti. Le faccio immaginare i due-tre giorni seguenti passati da mio padre. Sa, mio padre era un uomo molto semplice e non parlava molto del lavoro, non faceva mai il padrone, faceva sempre l’ospite, non dava mai confidenze non desiderate se non la più gentile accoglienza. È questo ciò che piace alla gente, ed è un po’ il “segreto” dei nostri luoghi che tramandiamo ancora oggi.
La riporto per un momento a quest’estate: a luglio è stato ricordato a Caorle Ernest Hemingway, a cui è stato dedicato il Premio Giornalistico Papa, un evento a cui lei è intervenuto e che ha acceso i riflettori sul Veneto. Me ne vuole parlare?
Certo. Come ha appena ricordato ho avuto il piacere di partecipare come ospite alla fase finale del premio. A mio parere, i premi legati a grandi personalità della scrittura, quindi, in questo caso, sfondiamo una porta aperta, sono sempre iniziative importanti, stimolanti nello studio e fondamentali per lo sviluppo della cultura. Poi quest’anno ho potuto conoscere suo nipote John Hemingway, persona squisita, molto simpatica, e che è venuto a visitare anche l’Harry’s Bar. Quindi ribadisco il grande piacere di essere intervenuto e la caratura dell’iniziativa.